a proposito di...
FERRAROTTI NON ABILITATO!
di Umberto Melotti
In alcuni post
nel Facebook del Gruppo “Tutto quello che vorreste sapere sulle Abilitazioni
Scientifiche Nazionali” ho documentato la composizione delle commissioni di
quelle abilitazioni, le appartenenze accademiche degli “abilitati” e la
considerevole sovrapposizione di commissari e di candidati abilitati con i
componenti dei comitati di certe riviste (in particolare quelle del Mulino,
non casualmente collocate tutte in classe A ai fini concorsuali).
Riprendo ora il tema nel gioioso clima delle feste. Ricordate il mirabile
articolo in cui Umberto Eco aveva immaginato dei concorsi universitari in
cui veniva bocciato Dante Alighieri per aver pubblicato solo in settori
affini e Socrate non era nemmeno preso in considerazione in Filosofia morale
per carenza di pubblicazioni? Nello stesso spirito ho immaginato che cosa
sarebbe accaduto a Franco Ferrarotti (fondatore e direttore della “Critica
Sociologica”, che qualche grigio personaggio del mondo accademico aveva
collocato in classe B, in contrasto con tutte le riviste del Mulino,
compresa la più recente e solo online, e quelle dirette dai capi
“componente”, comprese le più squallide e le più servilmente orientate).
Certamente Ferrarotti non sarebbe stato abilitato, con quattro o cinque voti
su cinque (l’unico voto favorevole, ma non in tutte le commissioni, glielo
avrebbe forse dato il commissario straniero, per la sua “discreta
internazionalizzazione”, dimostrata dall’aver pubblicato anche in lingua
inglese e dall’aver insegnato, “per qualche tempo”, alla EHESS di Parigi e
alla School of Social Research di Nuova York). Ecco il giudizio collettivo
(quasi tutte le frasi, compresa la prima, ricalcano quelle presenti in
giudizi dei commissari ASN):
«Il candidato non è scemo, ma non ha un dottorato nel macrosettore e neppure
una laurea in sociologia. Ha molti interessi che vanno in tante direzioni
(troppe!) e molte pubblicazioni (troppe!), ma negli ultimi cinque anni non
ha pubblicato in riviste di classe A. Scrive anche di metodologia, ma non
rispecchia nei suoi lavori gli stili di ricerca auspicabili nel settore. Non
giovano al candidato le critiche rivolte (anche se con una certa arguzia) ad
autorevoli esponenti della disciplina, come Achille Ardigò, un ex Presidente
dell'AIS su cui non è lecito scherzare (“Solo chi non ha una famiglia ne può
parlare con tanto trasporto”), Francesco Alberoni (sorridere della sua
definizione dell’amore quale “movimento collettivo a due” insinua indegni
sospetti sui movimenti cui si riferiva l’autorevole collega, altro ex
Presidente dell'AIS) e Sabino Samele Acquaviva (non accettabile, neanche
come infima battuta, la definizione di “sociologia degli scimpanzé” per un
suo saggio apparso presso una primaria casa editrice, per cui hanno
pubblicato anche alcuni commissari). Il candidato dovrebbe essere molto più
umile e rispettoso, ma sembra non ricuperabile. Inoltre, nonostante
l’attenta ricognizione compiuta, non appare riconducibile ad alcuna delle
“componenti” riconosciute, dalle quali non è del resto pervenuta alcuna
segnalazione per la sua abilitazione. Per di più non appare né fra i membri
dell'associazione Il Mulino, né nel suo Istituto Cattaneo, né in alcun
comitato delle pur numerose riviste del gruppo. Non abilitato».
Mi correggo: le due ultime frasi del giudizio i commissari non le avrebbero
scritte, ma solo pensate.
Per una recente valutazione del gruppo del Mulino, che ha offerto alla
Abilitazioni Scientifiche Nazionali nei macrosettori della sociologia, 2
presidenti di commissione su 3 e il segretario della terza commissione,
nonché altri membri delle commissioni, fra cui persino un ministro in
carica, si veda il recentissimo articolo di Ernesto Galli Della Loggia (pur
membro dell’Associazione Il Mulino e quindi non sospettabile di
prevenzioni), Il Mulino, la crisi di un’élite che si è trasformata in
oligarchia, nel “Corriere della Sera” del 22 dicembre 2014, p. 37. Vi si
legge fra l’altro: “Nato come un luogo d’incontro di culture politiche
diverse, un laboratorio di discussioni, si è pietrificato in un’arcigna
fortezza ideologica del centrosinistra, in un custode di tutti i suoi
fragili miti: mentre ormai non si contano i suoi soci che a vario titolo ne
infoltiscono i quadri istituzionali come sindaci, ministri, presidenti del
Consiglio, presidenti di tutto. Così il Mulino si trova a rappresentare per
un verso l’opposizione più chiusa, per l’altro il potere più consolidato:
una schizofrenia micidiale che ne segna la progressiva paralisi
intellettuale. Lo testimonia la cooptazione autoreferenziale dei soci: i
nuovi, salvo qualche autorevole membro dell’establishment, sono pressoché
esclusivamente membri delle cordate accademiche o similari che fanno capo a
quelli anziani. In complesso l’Università di Bologna ne conta suppergiù un
terzo; l’età media è oltre i sessanta; pochissime le donne; nessun socio da
Roma in giù. Il Mulino, insomma, è diventato la perfetta fotografia di un
Paese vecchio, diviso, corporativizzato, immobile”.
Umberto Melotti